Decisi di indossare un abbigliamento fresco, dai colori chiari per poter meglio affrontare una giornata che si presentava calda e assolata. Presi dall'armadio una gonna dalla lunghezza appena sopra il ginocchio, in cotone elasticizzato, che metteva in risalto la mia bella figura di quarantenne ma-non-li-dimostra, di colore bianco, tonalità prediletta nella stagione estiva.
Per la parte sopra scelsi la mia camicetta preferita in un inconsistente tessuto di lino immacolato, acquistata l'anno precedente in uno dei più eleganti negozi del centro, abbastanza trasparente da lasciare intravedere in modo malizioso e femminile un reggiseno di candido pizzo. Completai l'abbigliamento con scarpe e borsa blu notte. Nessun gioiello, solo un orologio in acciaio, poco femminile, vistoso, eccessivo, in sintonia con la mia inclinazione per i contrasti quasi a voler smorzare, violare, la mia innata femminilità.
L'insieme nella sua innocente ambiguità, risultava essere decisamente piacevole. L'ultima immagine allo specchio, mi confortava per il buon risultato ottenuto; niente male baby...Con questo pensiero positivo e con un pieno di autostima, mi avviai verso il nuovo giorno.
In quel lontano 29 giugno del 1996 mi aspettavano diverse commissioni da fare. La mia uscita doveva essere silenziosa; tolsi le scarpe, scesi le scale in punta di piedi con movimenti lenti e sinuosi da ladra. Gli scricchiolii della scala in legno risuonarono insolitamente rumorosi nel silenzio immobile...
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